HA ANCORA SENSO PARLARE DI DUE CATEGORIE DISTINTE DI CANNABIS?
“Questo articolo non vuole essere fonte di critiche da parte di consumatori e appassionati di Cannabis, ma punta semplicemente a portare un po’ di chiarezza su un argomento ancora troppo controverso“.
La Cannabis è originaria dell’Asia centrale e forse della fascia pedemontana dell’Himalaya. Esistono linee di evidenza convergenti, tra cui un centro di diversità biologica, e dati biochimici che supportano questo. Non c’è traccia della sua presenza nell’emisfero occidentale prima del XVI secolo.
Con il genere Cannabis (canapa, Famiglia Cannabaceae) si intendono tre specie, ognuna con una storia molto lunga di addomesticamento. Le piante appartenenti a questo genere sono probabilmente indigene del continente asiatico, dove crescono preferibilmente in luoghi umidi e vicino a corpi idrici. Questo tipo di ambiente è stato spesso scelto come insediamento temporaneo da parte di gruppi nomadi umani, prima della scoperta e diffusione di tecniche agricole. Le specie di Cannabis in natura avevano un’attitudine erbacea, crescendo in suoli con alte concentrazioni di azoto liberate da deiezioni animali e attività umane. La lunga convivenza tra l’uomo e la Canapa ha portato ad un primo addomesticamento della pianta, che ha presto mostrato un sorprendente spettro di possibili utilizzi. La Canapa è stata usata come fonte di tessuti, come pianta commestibile, e come pianta medicinale e psicoattiva (resine prodotte da tricomi ghiandolari secretori). In tempi recenti, le fibre di Canapa sono state utilizzate per produrre agenti bioplastici e antibatterici; inoltre, i tricomi sono considerati biofattorie di sostanze fitochimiche con molteplici applicazioni biotecnologiche. L’estensione della domesticazione della Cannabis è stata così persistente da causare la scomparsa delle specie selvatiche: al giorno d’oggi, la specie (s) appartenente al genere Cannabis sono rappresentati da una miriade di varietà coltivate, che occasionalmente sfuggono alla coltivazione e crescono anche in natura, dando vita a forme che perdono alcune caratteristiche tipiche di quelle coltivate. Per questo motivo, la nomenclatura della Cannabis ha basi instabili ed è stata oggetto di numerosi trattamenti tassonomici.
È ampiamente accettato che la Canapa abbia due diverse specie: Cannabis indica e Cannabis sativa .” Questo era ovviamente anche l’opinione del grande naturalista del XVIII secolo, Jean-Baptiste Lamarck, ma i botanici accademici oggi sarebbero d’accordo con questa affermazione?
Molti botanici classici sostengono che la Cannabis sia una specie polimorfica basata sulla capacità di incrociarsi tra tutti i suoi tipi. Tuttavia, se ciò fosse vero, centinaia di gesneriadi neotropicali (Gesneriaceae, membri della famiglia dei violetti africani) sarebbero tutti una specie poiché si ibridano tra loro, producendo prole fertili. Ciò che risulta chiaro è che ci sono molti chemiotipi di Cannabis: 1. Drug type predominante in THC, 2. Hemp type, predominante in CBD, 3. Balance type con rapporto 1:1 CBD/THC, 4. The Zero type, con pochissimi cannabinoidi e 5. CBG type a predominanza appunto di CBG, è il chemiotipo più raro di Cannabis.
Questa è una buona classificazione di base, ma è stato anche possibile selezionare selettivamente altri chemiotipi che esprimono alti titoli di THCV, cannabidivarin, cannabhrromene e persino quelli che producono il 100% dei suoi cannabinoidi come cannabigerolo, o altri senza cannabinoidi. Il dibattito non finisce qui: alcuni espongono la Cannabis come un’unica specie, mentre altri ne descrivono fino a quattro specie diverse: Cannabis sativa, Cannabis indica, Cannabis ruderalis e Cannabis afghanica (o kafiristanica).
Il termine genotipo (dal tedesco Genotypus, a sua volta derivante dall’unione di “Gen” ovvero gene e della parola greca “τύπος” ovvero tipo) si riferisce all’insieme di tutti i geni che compongono il DNA (corredo genetico) di un organismo o di una popolazione. Ogni gene, singolarmente e/o cooperativamente, contribuisce in maniera diversa allo sviluppo, alla fisiologia e al mantenimento funzionale dell’intero organismo.
L’insieme dei caratteri osservabili esternamente viene chiamato fenotipo.
Il genotipo, da solo, non definisce o determina il fenotipo, piuttosto interagisce con l’ambiente, esterno o interno che sia, nel determinarlo. Quindi due individui con lo stesso genotipo (ad esempio gemelli omozigoti) non necessariamente avranno un fenotipo identico: ciò può essere spiegato attraverso i meccanismi dell’epigenetica, ossia quell’attività di regolazione genica che, attraverso processi chimici, pur non alterando direttamente la sequenza nucleotidica, può modificare il fenotipo dell’individuo o della progenie: questi fenomeni epigenetici alterano l’accessibilità fisica al genoma da parte di complessi molecolari deputati all’espressione genica, e quindi influenzano il funzionamento dei geni.
Con il termine chemiotipo si intende una popolazione di piante o microorganismi che, pur appartenendo alla stessa specie, si differenzia da tutti gli altri membri della specie per la composizione chimica dei metaboliti secondari. Piccole differenze genetiche o epigenetiche che abbiano impatti nulli (o quasi) sulla morfologia o l’anatomia possono produrre cambiamenti anche importanti sul fenotipo chimico.
Il concetto di chemiotipo riveste particolare interesse nell’ambito dell’aromaterapia, poiché differenti chemiotipi possono avere qualità terapeutiche molto differenti. L’appartenenza di una pianta ad un chemiotipo piuttosto che ad un altro in certi casi può fare la differenza tra un olio essenziale benefico e uno tossico.
Tassonomia: INDICA VS SATIVA.
La Cannabis Indica fu ufficialmente classificata nel 1785 dal botanico Jean-Baptiste Lamarck, che in quell’anno pubblicò le principali differenze tra la Cannabis Sativa, europea e la Cannabis Indica, indiana. Descrisse la C. Indica come una pianta relativamente bassa e compatta, a forma conica e con molte ramificazioni. Praticamente il contrario della sorella C. Sativa, molto più alta, snella e meno ramificata. Un’altra importante differenza morfologica sta nel fogliame, la C. Sativa presenta foglie più scure, lunghe e sottili, rispetto a quelle della C. Indica, più chiare e larghe (descrizione su pianta di Hindu Kush). Oltre ad avere un aspetto diverso le due varietà differiscono anche per contenuto di cannabinoidi: secondo molti la Cannabis Indica produce più THC e meno CBD rispetto alla C. Sativa.
Il paradosso è che le landrace indiche tendono a contenere meno THC rispetto agli strain a predominanza sativa… anche molti consumatori riportano di essere più “stonati” e meno in “high” fumando una indica anzi che una sativa.
L’effetto della Cannabis Indica è generalmente associato ad una pesantezza fisica per chi non soffre di nessuna patologia. Essa è infatti particolarmente adatta a togliere il dolore e a favorire il sonno e il rilassamento.
La Cannabis Sativa, al contrario, è molto energizzante sia a livello fisico che cerebrale, accentua la creatività e, raramente, può favorire la comparsa di paranoia o allucinazioni. È perfetta per trattare la depressione, l’ADHD e altre patologie psichiatriche.
Il dottor Ethan Russo, neurologo e direttore medico della PHYTECS, un’azienda incentrata sulle biotecnologie applicate sul sistema endocannabinoide umano, sostiene che ai giorni nostri non ha senso parlare di Cannabis Indica e Sativa, piuttosto bisognerebbe parlare di terpeni, dato che sono queste molecole a determinare i caratteristici effetti di ogni tipologia di pianta.
Di seguito riportiamo una breve parte di un’intervista a lui diretta per comprendere meglio il suo pensiero.
Alcuni utenti descrivono gli effetti psicoattivi della Cannabis indica e sativa come distintivi, anche opposti: lo sono veramente? Al di là delle auto-segnalazioni da parte degli utenti, esistono prove evidenti per specie di Cannabis “farmacologicamente“ diverse?
Ci sono ceppi biochimicamente distinti di Cannabis, ma la distinzione sativa/indica, come comunemente applicata nella letteratura laica, è un’assurdità totale e un esercizio di futilità. Non si può in alcun modo indovinare il contenuto biochimico di una data pianta di Cannabis in base alla sua morfologia di altezza, ramificazione o foglia. Il grado di ibridazione è tale che solo un test biochimico indica a un potenziale consumatore o scienziato cosa c’è realmente nella pianta. È essenziale che il commercio futuro permetta la disponibilità di profili completi e precisi di cannabinoidi e terpenoidi.
Sativa è spesso descritta come edificante ed energica, mentre Indica come rilassante e calmante. Può speculare su quali potrebbero essere le basi per queste differenze percepite?
Dr. Russo: Preferiremmo tutti usare solo le narici per spiegare sistemi complessi, ma questo è futile e persino potenzialmente pericoloso nel contesto di una droga psicoattiva come la Cannabis. Ancora una volta, è necessario quantificare i componenti biochimici di un determinato ceppo di Cannabis e correlarli con gli effetti osservati nei pazienti reali. Al di là del crescente numero di ceppi predominanti nella CBD negli ultimi anni, quasi tutte le varietà di Cannabis presenti sul mercato provengono da ceppi a predominanza di THC. Le differenze negli effetti osservati nella Cannabis sono quindi dovute al loro contenuto di terpeni, che viene raramente dosato.
La sedazione avvertita consumando varietà delle cosiddette indiche, sono in realtà falsamente attribuiti al contenuto di CBD quando, di fatto, il CBD stimola in dosi basse e moderate! Piuttosto, la sedazione nei più comuni ceppi di Cannabis è attribuibile al loro contenuto di mircene, un monoterpene con un effetto sedativo, che assomiglia a un narcotico.
Al contrario, un alto contenuto di limonene (comune alle scorze di agrumi) aumenterà l’umore, mentre la presenza del terpene relativamente raro in Cannabis, alfa-pinene, può ridurre o eliminare efficacemente il deterioramento della memoria a breve termine classicamente indotto dal THC.
I terpeni sono i veri responsabili dell’effetto della Cannabis
I terpeni sono piccole molecole prodotte dalle piante, e principalmente contenute nelle loro resine, sono delle miscele organiche che conferiscono un aroma particolare a ciascuna pianta o fiore. I terpeni più diffusi: il mircene, il limonene, il mentolo, la canfora, il geraniolo e lo squalene.
Nella pianta di Cannabis se ne possono contare più di 200 e solo uno scienziato come Russo può classificarli. Il dottor Russo è sicuramente di parte dal momento che fa parte di una compagnia che si occupa di biotecnologie, per cui afferma anche che non ha senso parlare di C. Indica e C. Sativa.
In effetti è in parte vero per quanto riguarda gli effetti terapeutici e/o sperimentati dai consumatori. Quello che possiamo ipotizzare è che le due varietà di Cannabis producano terpeni differenti e che differiscano negli effetti proprio grazie ad essi.
Come riportato da Russo, nella Cannabis Indica è prevalente il mircene, un terpene comune a molte piante e frutti. Ha un odore gradevole e per questo motivo è molto utilizzato nell’industria dei profumi. Questo composto è oggetto di studio e sembra essere appunto associato a rilassamento e ad un aumentato dell’effetto del THC, e il risultato può essere narcotico.
Nella Cannabis Sativa è prevalente il limonene ed è per questo che tende ad essere più energizzante.
Detto ciò, è bello che la scienza si occupi di spiegare in che modo questa pianta interagisca con il nostro corpo ma, arrivare ad affermare che non esista differenza alcuna tra C. Indica e C. Sativa è forse un po’ troppo. Il Dr Russo dice bene quando afferma che il livello di ibridazione è ormai tale da confondere le varietà – negli anni 70 venne importata negli USA la Hindu Kush che fu ibridata con le varietà sative equatoriali colombiane – ma gli ibridi che abbiamo a disposizione in commercio presentano ancora una linea dominante, soprattutto per quanto riguarda il profilo di terpeni. Gli ibridi moderni sono stati pensati per fiorire in tempi più brevi rispetto alle linee pure sative. Il motivo per il quale venne importata l’Hindu Kush negli Stati Uniti è stato proprio per incrociarla con la Colombian Gold che impiegava quasi sedici settimane per portare a termine la fioritura. I discendenti di tale incrocio risultarono più veloci a fiorire, e ciò indica che probabilmente tale carattere è dominante rispetto a quello delle varietà sative, ma per il resto molti dei loro figli presentavano per lo più caratteristiche morfologiche del genitore “indico” e caratteristiche organolettiche del parente “sativo”. Di conseguenza i terpeni si mischiano fino ad un certo punto e con ogni probabilità i terpeni delle piante sative sono dominanti su quelli delle piante indiche: infatti non abbiamo ibridi documentati che abbiano le stesse concentrazioni di mircene e limonene. Ma, al contrario, abbiamo, ad esempio, ibridi con alte concentrazioni di limonene e poco mircene, detti a prevalenza sativa – nonostante fioriscano in poco tempo, perché ibridati appunto con una indica – e abbiamo ibridi con alte concentrazioni di mircene, super narcotici, considerati a prevalenza indica.
Gli effetti di questi ibridi possono risultare migliori rispetto a quelli delle linee pure, grazie al mix di terpeni ottenuti nei nuovi incroci.
In conclusione non è del tutto sbagliata la concezione “laica” di Cannabis Indica e Cannabis Sativa, tanto meno quella tassonomica classica. Si può solo affermare che al giorno d’oggi è rarissimo trovare una linea pura di Cannabis Sativa perché sono state portate via anche dalle loro zone di origine per lasciare spazio a ibridi più veloci a fiorire. La chemiotassonomia oggi propende per due specie di Cannabis, Indica e Sativa, e propone come ipotesi fondata che le due specie derivino effettivamente da un’unica specie che si è differenziata a causa dei diversi luoghi di coltivazione. Si presume che la Cannabis Sativa, “dei laici”, quella che impiega molto tempo a fiorire, altro non è che una varietà che si è resa autoctona nella fascia equatoriale e per ciò ha cambiato il suo genoma a causa dell’ambiente circostante (12 ore di luce tutto l’anno). È per questo motivo che se incrociata con una indica, questa tenda a perdere subito la caratteristica di una lunga fioritura. In ogni caso, il naso e il palato restano per adesso i migliori strumenti che un paziente o un consumatore abituale possano utilizzare per capire se una data erba può o non può fare al caso suo.
di Fabio Coppolino, a cura di Carolina Arzà