Un paio di giorni fa è uscito un articolo in italiano su un argomento che sto approfondendo con una cara amica canadese… la situazione dei consumatori di Cannabis in Canada.
In particolar modo ho chiesto a Sarah, circa un mese fa, che fine avessero fatto i dispensari, i circoli di pazienti in cui si distribuiva la Cannabis a partire dai primi anni ’90. Sarah si è pietrificata, le è mancato il fiato, anche perché lei ha contribuito in prima persona a rifornirli… con un filo di voce mi ha raccontato che sono stati tutti costretti a chiudere dalla polizia “They were shut down all!”
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Eppure è stato grazie agli attivisti dei dispensari che si è arrivati a sensibilizzare l’opinione pubblica e alla legalizzazione! LEGGI ANCHE Come si è arrivati alla legalizzazione in Canada?
Non appena, un anno fa, è entrata in vigore la legge che regolamentava il mercato della Cannabis, di fatto andando a legalizzare anche l’uso ludico della pianta, i dispensari sono stati chiusi uno ad uno perché non erano in possesso delle licenze statali.
…il governo non vedeva l’ora di vederli sparire, e così ha affidato la produzione della Cannabis alle aziende che già producevano Cannabis terapeutica, che con altri nomi, hanno fondato altre società per produrre Cannabis ricreativa. I grandi colossi farmaceutici non sono gli unici ad avere la licenza, ma quasi: possiedono quasi il 90% del mercato.
Quasi tutta la Cannabis prodotta è irradiata (qui puoi leggere gli effetti nefasti dell’irraggiamento I canadesi preferiscono erba non irradiata: pro e contro dell’irraggiamento) e per adesso solo una società si è impegnata ad avere standard di produzione talmente alti da potersi permettere di non irradiare l’erba.
La Cannabis viene irradiata per evitare la propragazione di muffa: un conoscente che lavora per un’azienda che produce Cannabis terapeutica mi ha confermato che gli standard produttivi non sono così alti, soprattutto in fase di essicazione, pertanto ricorrono all’irraggiamento per arrestare la formazione della muffa – che spesso è già presente sulle cime e, anziché venire rimossa e distrutta, quella Cannabis viene irradiata e immessa sul mercato.
Vedendo il mio sgomento, il ragazzo in questione mi ha freddata ancora di più con la frase: il governo lo permette.
Bene, si può dedurre che il governo canadese se ne infischi della salute dei consumatori, siano essi pazienti o meno e che preferisca concentrarsi sull’avere lo stretto controllo su produzione e distribuzione.
La Cannabis terapeutica viene distribuita nelle farmacie oppure a domicilio, mentre la Cannabis ricreativa – che a quanto pare non è differente dall’altra – viene venduta in appositi negozi che hanno richiesto la licenza per tempo (e che l’hanno pagata fior di quattrini).
E chi aveva un dispensario? Alcuni, con molta riluttanza, si sono mossi per tempo e hanno ottenuto una licenza di vendit, che è simile a quella per i tabaccai in Italia, mentre gli altri hanno chiuso i battenti… e continuano a fare quel che facevano prima: disobbedire!
Sì, il mercato nero in Canada è stata la naturale risposta ad una legalizzazione al sapore di monopolio: la Cannabis irradiata non piacerà mai ad un consumatore abituale, che conosce la vera ganja!
In più, la poca scelta e la poca varietà dei prezzi hanno contribuito a fare crollare le vendite: i consumatori abituali preferiscono il mercato nero sia per qualità che per costi migliori, mentre i consumatori saltuari si riforniscono al mercato legale, in genere.
Il governo Canadese forse dovrebbe rivedere tutto il disegno di legge e soprattutto la questione spinosa del rilascio delle licenze: i dati relativi all’anno scorso pronosticavano circa un miliardo di dollari di tasse, invece si è arrivati a malapena a 700 milioni di dollari.
E i cittadini? Ovviamente la maggior parte delle persone avrebbe preferito una regolamentazione dei dispensari già esistenti, ma l il governo temeva che ci sarebbe stata troppa evasione fiscale…
e invece, stringendo la morsa, ha ottenuto l’effetto contrario. Speriamo che Justin Trudeau si ricreda presto e ci metta una pezza sopra…
di Carolina Arzà
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