Sono momenti difficili per tutti gli operatori del settore, soprattutto perché si è creato un rumore mediatico non indifferente.
Riportiamo parola per parola le motivazioni fornite dalle Sezione Unite della Corte di Cassazione in merito alla liceità della commercializzazione di Cannabis light e cerchiamo di comprenderle:
“Non vale la legge sulla coltivazione (242, ndr) per la commercializzazione di prodotti a base di cannabis sativa, in particolare foglie, infiorescenze, olio, resina, ma vige il testo delle droghe (Dpr 309/90)” e quindi vendere derivati della cannabis sativa sarebbe di fatto perseguibile dalla legge anche penalmente.
Lo spiega la Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza del 30 maggio scorso sulla rilevanza penale della commercializzazione di prodotti derivati dalla Cannabis Sativa. Con la sentenza depositata il 10 luglio 2019, le Sezioni Unite hanno affermato che è “illecita” la “cessione”, la “messa in vendita”, la “commercializzazione al pubblico” a “qualsiasi titolo” di “foglie, infiorescenze, olio e resina” derivati dalla coltivazione della Cannabis Sativa L..
Così la Cassazione, nelle motivazioni della sentenza dello scorso 30 maggio, con cui sancivano che il commercio di questi prodotti rientra nella fattispecie di reato contenuta nel testo unico sugli stupefacenti sotto “una determinata soglia drogante”, anziché stabilire un limite preciso per quanto riguarda appunto un limite sull’unica sostanza psicoattiva contenuta nella Cannabis, ovvero il THC, che era stato “fissato” allo 0,5% dalla Cassazione stessa, si è espressa in maniera negativa riguardo la commercializzazione dei derivati non industriali della Canapa.
Il motivo principale è che fiori, olii e resina di Cannabis non sono citati dalla legge 242 del dicembre 2016: ed infatti è scoppiato il boom cannabis light proprio grazie a questo vuoto legislativo.
Nei giorni scorsi la Cassazione ha cercato di fare il proprio lavoro in quanto vertice della giurisdizione ordinaria ed il tribunale di ultima istanza nel sistema giurisdizionale ordinario che ha il compito di assicurare l’uniforme applicazione e interpretazione delle norme giuridiche: sulla questione “cannabis light” ha dichiarato le sostanze come non idonee alla vendita.
Ma anche argomentato che starebbe ad ogni singolo magistrato valutare caso per caso quanto possa essere offensiva o lesiva la condotta della cessione di Cannabis per la quale, indipendentemente dalla percentuale di THC in essa contenuta, non sia comprovato un effetto drogante.
Ecco le parole precise che lasciano ai giudici ora, e ai legislatori poi, la “patata bollente”:
“Ciò che occorre verificare non è la percentuale di principio attivo contenuta della sostanza ceduta, bensì l’idoneità della medesima sostanza a produrre in concreto un effetto drogante.
Resta ovviamente salva la possibilità per il legislatore di intervenire nuovamente sulla materia, nell’esercizio della propria discrezionalità e compiendo mirate scelte valoriali di politica legislativa, così da delineare una diversa regolamentazione del settore che involge la commercializzazione dei derivati della cannabis sativa L nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali”.
In parole povere la Cassazione non è stata in grado di fornire un’interpretazione effettivamente univoca: lo ha fatto esprimendosi in maniera negativa riguardo la vendita dei prodotti derivanti dai fiori di Cannabis Sativa L. ma, argomentando e lasciando spazio al legislatore, ha creato un nuovo margine interpretativo sulla loro ultima istanza.
LE REAZIONI DI PRODUTTORI E COMMERCIANTI
C’è chi sostiene che sia rimasto tutto come prima e che il commento della Cassazione non voglia dire assolutamente nulla, e chi invece è molto preoccupato perché le dichiarazioni ufficiali riportano tutt’altro e lasciano ben poco in cui sperare e soprattutto lasciano poco spazio all’interpretazione.
I produttori si dichiarano tranquilli e fiduciosi in quanto sostengono di operare nella completa legalità. E, in effetti, è proprio così: coltivare Cannabis ad alto tenore di CBD e contenente meno dello 0.6% di THC resta legale.
Molti rivenditori sono invece esasperati, stanchi dei continui attacchi mediatici, stanchi di essere paragonati a degli spacciatori. La parola più ricorrente quando chiedo loro come vanno le cose è proprio “stanchi“. C’è chi ha querelato Salvini, chi sostiene che non serva a niente se non a fomentare il suo odio, chi sta chiudendo e chi invece non lo farà mai a costo di subire retate o sequestri. Non tutti siamo uguali e non tutti abbiamo reagito alla stessa maniera di fronte all’ennesima presa in giro (nessuno ha preso una posizione chiara), quel che è certo è che regna sovrano un inquietante senso di ingiustizia.
Il cavillo legale sulla questione del libero commercio dei fiori di Cannabis e dei suoi derivati, che la sentenza del 30 maggio avrebbe dovuto sciogliere una volta per tutte, non è stato risolto e, di fatto, si è generata ancora più confusione.
Le motivazioni della sentenza sulla cosiddetta Cannabis light potrebbero creare un nuova interpretazione in merito alle percentuali di THC?
Lo scopriremo nei prossimi giorni con l’intervento dei nostri legali.
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