Quando si parla di persone che fanno uso di Cannabis terapeutica, nella maggior parte dei casi si tratta di individui che hanno scoperto per caso e sperimentato su se stessi gli effetti di questa sostanza durante un utilizzo ludico.
Il fatto è che l’effetto ricercato (la sensazione di sballo) dai più, che ne fanno un uso di questo genere, altro non è che l’effetto collaterale che questa pianta ha su di un soggetto sano. Anche se la combustione non è il miglior metodo di assunzione della Cannabis, ha i suoi effetti pressoché immediati, e benefici, sull’organismo. Proprio dopo aver avuto tali benefici prima sconosciuti, i malati si approcciano a questa pianta in maniera terapeutica. Quando però il quadro patologico del paziente riguarda sia il fisico che la psiche, come il disturbo da stress post traumatico, e su entrambi i fronti si notano impareggiabili miglioramenti, anche in termini di assenza di sconvenienti e pesanti effetti collaterali, si possono comprendere in pieno le potenzialità dei fiori di questa pianta. Meno comprensibili sono le situazioni che alcuni pazienti sono costretti a vivere, così come inconcepibile è l’ostracismo di chi dovrebbe garantire la salute del cittadino e invece specula e volutamente rallenta il raggiungimento della completezza della copertura terapeutica nazionale.
Durante un incontro con alcuni operatori del settore, ho avuto il piacere di incontrare e conoscere Francesco che, raccontando la sua esperienza darà modo anche a chi è ancora scettico in merito, di capire l’ampiezza dello spettro d’azione dei fiori di Cannabis.
Ciao Francesco, raccontaci di te.
Mi chiamo Francesco Bacchin, sono nato a Padova, ho 25 anni e sono un perito chimico. Ho conseguito una laurea triennale in psicologia e nell’anno accademico 2017/2018 ho frequentato il corso di perfezionamento in “La Cannabis Medicinale: aspetti agro-produttivi, botanici, medici, legali e sociali” presso il dipartimento di Neuroscienze della facoltà di Medicina all’Università di Padova. Attualmente sono iscritto al corso di Alta Formazione in Fitoterapia Clinica presso il dipartimento di Scienze del Farmaco, Padova.
Qual è il tuo rapporto con la Cannabis?
Ormai sono sette anni che mi interesso di Cannabis per diversi motivi: faccio parte di una associazione chiamata Canapa di Marca e di un progetto di formazione chiamato Scuola Canapa (si veda MJP n. 4, ndr). Ciò che mi lega principalmente al mondo della Cannabis è l’uso terapeutico: a causa di un incidente stradale mi manca una gamba. Tredici anni fa, mentre attraversavo un incrocio in bicicletta andando dritto, un tir mi tagliò la strada girando a destra. L’impatto fu violentissimo, venni letteralmente sputato fuori dalla coda del tir sull’asfalto, entrambe le gambe erano state danneggiate seriamente, ma le altre parti del corpo no. L’esperienza dell’incidente fu traumatica in quanto non perdetti mai coscienza. Ricordo ancora tutto in maniera molto lucida, compreso il dolore fisico, dal momento in cui venni investito a quando arrivò l’ambulanza. I primi giorni di ospedale furono terribili e subito emerse un DPTS (Disturbo post traumatico da stress). Ovviamente a quell’epoca non seppi spiegarmi i ripetuti flash back, gli incubi e le crisi di panico che continuavano a tormentarmi. Avrei capito il quadro sintomatologico completo solo 6 anni dopo, studiando il disturbo a psicologia.
Di punto in bianco a soli 12 anni mi ritrovai dal correre spensierato con un pallone sui piedi ad essere in bilico fra la vita e la morte. Trascorsi quasi un mese in terapia intensiva prima dell’amputazione. Quando ti tagliano una gamba provi dolore neuropatico sul e nel moncone, questo perché vengono recisi i nervi: si provano continuamente formicolio, dolori acuti, pruriti, sensazioni di caldo e freddo, spasmi, crampi e molto altro.
Come sei arrivato a fare uso terapeutico di Cannabis?
La Cannabis aiuta a livello fisico le persone che hanno subito un’amputazione e contemporaneamente agisce psicologicamente alleviando lo stress post traumatico: lo capii subito dopo la prima assunzione sette anni fa. Come quasi tutti ho scoperto la Cannabis fumando una canna con gli amici, solo che per me l’esperienza è stata diversa. Il famigerato spinello (con tabacco) ti arriva in mano e un tiro te lo fai, solo che non sei come tutti gli altri, hai una disabilità ed una protesi che ti tortura la pelle, i muscoli e i nervi del moncone e quindi a differenza degli altri fumatori, quando comincia a diminuire il dolore inizi a porti delle domande. Quando il giorno dopo ripensi alla bella esperienza ed allo stato di benessere generale che ti ha fatto provare, capisci che questa pianta in tutte le sue forme è la medicina giusta per te.
Che percorso terapeutico hai seguito dopo l’incidente, prima di conoscere la Cannabis?
Per i dolori da arto fantasma in genere si prescrivono farmaci oppiacei, nel mio caso codeina “al bisogno”, ovvero quando avevo le crisi ma, onestamente, piuttosto che prendere questo tipo di farmaci ho preferito sopportare l’arto fantasma e ho sempre cercato di prendere pochi oppiacei, che a mi avviso non sono quasi mai la soluzione, specialmente in giovane età. Questo genere di medicine è molto forte, è necessario prestare molta attenzione all’assuefazione e alla dipendenza che vanno a creare.
Al mio ritorno a casa, dopo l’ospedalizzazione, mi diedero per alcuni mesi anche delle benzodiazepine, per dormire. Purtroppo non sortivano grandi effetti, in quanto mi svegliavo ugualmente di notte e quindi decisi di sospendere io stesso anche questi farmaci.
Nei sei anni successivi all’incidente, prima di scoprire la Cannabis per caso, la notte mi svegliavo spesso con forti crampi al moncone, cosa che ora non succede più, tanto che non ricordo davvero quand’è stata l’ultima volta che ne ho avuto uno di notte.
In che modo ti aiuta questa pianta?
La Cannabis su di me agisce e mi aiuta in diversi modi: è antiinfiammatoria e antidolorifica, ovvero l’ideale per chi è amputato e porta una protesi tutto il giorno e ci cammina sopra sfregando e caricando sul moncone. In particolare riguardo la cute, la Cannabis mi aiuta a proteggere e mantenere elastica la pelle soprattutto del moncone e dei cheloidi, ovvero le cicatrici formatesi sulle profonde abrasioni riportate alla gamba destra durante l’incidente. Addirittura mi è possibile prendere il sole anche su questa parte del corpo che senza Cannabis sarebbe altamente fotosensibile.
Inoltre la Cannabis mi ha aiutato a controllare i sintomi del DPTS: non ho più flash back intrusivi e aiuta a sentirmi rilassato e non in un costante stato di allerta ed apprensione. Solitamente, per questo disturbo si prescrivono pesanti psicofarmaci con altrettanto pesanti effetti collaterali, mentre con la Cannabis è possibile svolgere qualsiasi attività quotidiana senza particolari problemi.
Infine, l’utilizzo di questa meravigliosa pianta mi ha risolto problemi di psoriasi dovuti allo stress, allergia ai gatti, che ora tengo e coccolo in casa e sinusite stagionale cronica! Abito in uno dei luoghi più inquinati d’Europa, se non disponessi della mia terapia starei male sotto molteplici aspetti.
Vuoi parlarci della sindrome dell’arto fantasma?
Come accennavo prima, è una sindrome legata all’amputazione e anche in questo caso per i dolori ad essa connessi, la Cannabis mi è di grande aiuto: diminuisce l’intensità del formicolio, riduce la frequenza degli scossoni ai nervi, tanto che in certe giornate si riducono a zero. Inoltre allevia i disturbi derivati dai neuromi, che si formano sulle estremità dei nervi dell’arto reciso. Il neuroma è il tentativo del nervo di rimarginarsi dopo un danno permanente ed irreversibile, il che significa in parole povere che si tratta di una sorta di proliferazione di cellule nervose attorno al nervo reciso. I neuromi sono spesso caratterizzati da forte sensibilità al dolore: la minima stimolazione, anche tattile, può scatenare un forte dolore.
Che tipo di terapia segui?
Nel mio caso l’assunzione è una terapia giornaliera, ma mi prendo anche periodi in cui faccio delle pause di circa dieci giorni, per non creare alcun tipo di assuefazione e quindi non dover alzare i dosaggi.
Ogni forma di assunzione che ho provato si è dimostrata efficace fino ad ora: fumo, vaporizzazione, estratti in olio alimentare, edibili e uso topico. All’inizio fumavo la cannabis mischiata al tabacco: ricordo che fu il peggior periodo della mia terapia! Fumavo sigarette quando la Cannabis non c’era, mi intossicavo “gratuitamente” e il moncone ne risentiva.
Tre anni fa smisi totalmente con il tabacco a favore dei “purini”, per poi passare alla vaporizzazione e agli estratti in prodotti edibili.
Ad oggi cerco di assumerla in tutti i modi sopraelencati, sempre escludendo il tabacco: chi mi conosce sa bene che se mi passa una canna con il tabacco, io non l’accetto.
Quindi la Cannabis ti ha cambiato e migliorato la vita?
“Herb is the healing of the nation” (L’erba è la cura del Paese”!)
Decisamente si, la Cannabis ha cambiato positivamente la mia vita e mi auguro che sempre più persone possano beneficiare di questa pianta nel futuro. A me, sapere di poter contare su questa pianta come rimedio efficace a molti disturbi, dona molta serenità.
È il caso di menzionare il concetto di omeostasi, ovvero di equilibrio: ciascuno di noi ha un equilibrio interno regolato da complessi meccanismi volontari e involontari; l’apice dell’omeostasi è il nostro sistema endocannabinoide, unico per ogni individuo, così come unica è la posologia per ogni paziente.
Alla base di tutte le patologie che si possono trattare e curare con la Cannabis, solitamente c’è una disfunzione del sistema endocannabinoide.
È stato difficile ottenere la prescrizione?
Ottenere la prescrizione è stato abbastanza difficile, nel senso che a quel tempo dovetti cercarmi un medico che mi facesse una ricetta per poi pagarmi la Cannabis. Attualmente non sono ancora incluso in un piano terapeutico ma a breve lo sarò e mi sarà passata la terapia gratuitamente dall’ASL (circa 50 grammi di fiori ogni 2 mesi).
Fino ad ora ho sempre pagato di tasca mia la terapia, ma non prendo in farmacia il totale del mio fabbisogno, in quanto sarebbe davvero economicamente insostenibile quindi tocca arrangiarsi e farsi la propria piantina per non dover andare al mercato nero e rischiare di ingerire schifezze.
Hai accennato a progetti professionali collegati a questa pianta. Ce ne vuoi parlare?
Oltre ad assumere Cannabis come terapia, da due anni mi occupo di coltivazione nell’ambito della Canapa industriale. Il primo anno mi dedicai unicamente alle infiorescenze ma questo era, e tutt’ora resta, un mercato incerto e difficile per chiunque, figuriamoci per un ragazzino alle prime armi nel commercio; ad ogni modo ottenni le mie piccole soddisfazioni con la Carmagnola perché iniziai a conoscere la Canapa per poterla studiare. L’anno scorso invece, insieme ad altre persone, ci siamo dedicati all’estrazione in corrente di vapore di olio essenziale da cime fresche, sempre da Carmagnola; è stato un successo e sono fiero del prodotto ottenuto: ha una percentuale di mircene del 35%, significa che può essere usato per potenziare l’effetto terapeutico del THC e del CBD nelle terapie a base di cannabinoidi.
Come valuti la situazione attuale, sul fronte terapeutico?
La condizione dei pazienti di Cannabis terapeutica in Italia è problematica, in certi casi drammatica, a causa di un insieme di cose. Puntare il dito contro i colpevoli probabilmente non è nemmeno la mossa giusta da fare, forse bisogna semplicemente agire, promuovere noi stessi il cambiamento. Come? Studiando, divulgando, informando, continuando a piantare e coltivare Canapa, continuando a lottare nonostante ostacoli culturali e legali.
Lo Stato fin’ora ha calcolato male, in difetto, il fabbisogno terapeutico, molti medici sono restii e contrari a prescriverla, molti farmacisti non vogliono impegnarsi. Questo provoca carenze un po’ ovunque sul territorio italiano, a periodi alterni, e così c’è chi la compra in piazza azzardando sulla qualità e rischiando incontri spiacevoli, chi si coltiva una piantina, chi resta senza ed è costretto a continuare con i farmaci tradizionali e i loro effetti collaterali.
Attualmente la diffusione dei fiori di Canapa sta dando a molte persone l’accesso al CBD, ma si tratta pur sempre di un tampone per molti, ma questo non basta a sovvertire l’attuale realtà delle cose. L’auto coltivazione invece è una pratica che non è attuabile da tutti i malati, c’è chi può e chi non può e fra chi può c’è chi ci riesce solo dopo numerosi tentativi. La soluzione che si auspicano i malati è che la produzione statale aumenti, che ne aumenti la qualità e soprattutto la quantità disponibile. Nel frattempo? Nel frattempo c’è chi sta vivendo drammi sul proprio corpo, chi ha patologie ben più gravi di un’amputazione e non trova la Cannabis in farmacia. È una situazione insostenibile ma questa è l’odierna realtà.
Di Maurizio Birocchi