Storia della Cannabis (terapeutica) Sativa italiana

La Canapa indiana, Cannabis Indica, è da sempre presente negli erbari più antichi come rimedio per svariati disturbi. E la Cannabis Sativa?

I cinesi la indicavano come medicamento per tutti i mali già 4000 anni prima di Cristo, gli indiani, oltre alle virtù terapeutiche per il corpo, ne esaltarono quelle curative per l’anima e, presso i sumeri, su tavolette di argilla ritrovate nella biblioteca di Ninive, fu ampiamente citata per le sue proprietà analgesiche: prescrivevano Canapa indiana contro la bronchite, i reumatismi e l’insonnia. Il nome sumerico della Cannabis Indica, filtrato per le lingue greca e araba, è quello che utilizziamo noi oggi. Nel corso dei secoli, sapienti medici, che possedevano speciali conoscenze erboristiche, l’hanno prescritta abitualmente ai loro pazienti insieme a belladonna ed altri allucinogeni, tant’è che si guadagnarono la fama di stregoni, sciamani o semi-dei, proprio perché erano in grado di riconoscere ed usare correttamente le “piante di potere”, riuscendo in questo modo a mantenere il contatto tra il divino (la natura) e l’essere umano. Lo stato di malattia era infatti comunemente associato al peccato, perciò ad un qualcosa che si allontanasse dal modo di vivere consono all’uomo, e la guarigione era la relativa redenzione. Questa fusione tra scienza e religione perdurò, in varie forme, nel mondo occidentale, fino alla fine del XVIII secolo: con l’avvento dell’illuminismo l’incantesimo cominciò a rompersi e il connubio si spezzò definitivamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, a causa della crescita dell’industria petrol-chimica e della conseguente diffusione della medicina allopatica. A metà ‘800, nacquero le prime case farmaceutiche che erano comunque ancora legate profondamente all’uso delle erbe così com’erano e la loro eventuale manipolazione chimica avveniva in maniera naturale. In quegli stessi anni, quando Freud non aveva ancora inquinato la medicina con le sue teorie strampalate, visse un famoso medico igienista, il professor Raffaele Valieri, il quale operò a Napoli presso l’Ospedale degli Incurabili*.

La sua assistenza sanitaria fu notevole per la città: il 7 settembre 1860, con l’ingresso di Garibaldi a Napoli, le sorti della monarchia borbonica furono segnate e i mali partenopei furono presentati al nascente regno d’Italia e alla pubblica opinione con lucidità ed insistenza, nella speranza che il nuovo regime provvedesse. Già nel Settecento, da parte di alcuni intellettuali vi fu una presa di coscienza della situazione napoletana, così la questione s’impose e fu dibattuta con particolare rilevanza, poiché la miseria, il degrado urbanistico ed edilizio costituivano, all’interno di tutta Europa, una delle punte estreme di disagio. Raffaele Valieri fu eletto presidente della neonata Commissione Igienica della Sezione Pendino, uno dei quartieri più antichi, degradati e popolati.

“Mens sana in corpore sano” può essere considerato il motto degli igienisti, che rappresentavano gli psichiatri di una volta, tanto per intenderci…una buona igiene del corpo, nel senso più ampio del termine, il che comprende anche una dieta sana ed equilibrata associata ad un corretto stile di vita, porta inevitabilmente alla salute mentale; un concetto tanto semplice e così dimenticato nel tempo. Tra i compiti del professore ci fu quello di portare una situazione di ordine nel quartiere assegnatogli che in condizioni normali riversava in condizioni igienico-sanitarie pessime, che sfociavano spesso in epidemie coleriche (1866). L’attività filantropica di Valieri e del suo staff, che donava medicine e medicamenti gratuiti sul posto, facilitò la debellazione del morbo in poco tempo. Il professore emerito, descrivendo il quartiere, lo definisce una vera e propria bolgia infernale: “vicoli, vanelle e fondachi hanno una ventilazione inesistente e perenne umidità, questi inferni ospitano un numero incredibile di esseri umani, accalcati e sistemati in condizioni disagiate, un groviglio inestricabile di umanità condannata ad degrado fisico e mentale. A pochi passi da una riviera tanto bella quanto degradata e desolata… Qui trovano facile focolaio e diffusione malattie come il rachitismo, la scrofola, la tisi, la clorosi (forma anemica), tifo e colera, solo per citarne alcune tra le più gravi“. Molte furono le proposte di opere strutturali, educative e formative all’igiene essenziale per il risanamento del quartiere che l’igienista instancabilmente redigeva e presentava alle autorità competenti; la sua propensione al progresso continuo e all’aggiornamento su tutti gli studi prodotti dai suoi colleghi europei, lo resero uno tra i migliori igienisti dell’epoca.

Fondamentale fu lo studio approfondito che fece sulla Cannabis Indica e Sativa italiana che utilizzò largamente per attenuare i malesseri dei suoi pazienti, col benestare del sovrintendente generale dell’Ospedale, il conte Francesco Spinelli**. Nel suo breve trattato, pubblicato nel 1887, “Sulla Canapa Nostrana e i suoi preparati” ne esaltò le proprietà terapeutiche in sostituzione alla sorella Cannabis Indica. Valieri spiega come non ci sia diversità botanica alcuna tra le due varietà di Canapa e che l’unica differenza stia solamente nella quantità dei principi attivi contenuta in esse, sicuramente a causa degli ambienti diversi di crescita e provenienza. All’epoca, l’Italia vantava estesi campi di Canapa in ogni dove e l’egregio professore provò ad usare la Canapa autoctona (Sativa L.) in sostituzione alla costosissima Canapa indiana e dei suoi estratti, non solo per per abbatterne gli alti costi di importazione ma anche per poterne verificare in prima persona la qualità e la purezza, per far sì di ottenere un prodotto finale migliore possibile. Si recò di persona a Casoria, e nei suoi dintorni che formavano uno dei centri più industriali e produttivi nella coltivazione della Canapa, dove approfittò dell’ospitalità del Sacertote D.G.P., ricco proprietario terriero e consigliere comunale del posto. Costui gli fu da guida di giorno e di notte (Valieri volle dormire nel bel mezzo dei campi per provare l’effetto tanto decantato dai coloni: un sonno dolce e costernato di piacevoli sogni) per la raccolta delle sommità fiorite più scelte. Dall’amico prelato si procurò diversi sacchi di cime vegete e fresche che fece subito trasportare nella farmacia dell’ospedale, dove vennero divise in due porzioni, una per farla disseccare e l’altra freschissima per ottenere i seguenti preparati: acqua distillata, olio essenziale o cannabeno, la tintura, l’estratto farmaceutico, l’oleoito, la pomata, lo sciroppo, l’eleosaccaro, le pastiglie e, a preferenza, resina o cannabina. La porzione secca sarebbe stata destinata per farne decotti, infusi theiformi, tinture e sciroppi e, quando mancasse l’erba fresca, per farla masticare e fumare in pipe comuni o in sigarette, in sostituzione alla Cannabis Indica.

Si rivolse alle Case industriali di allora (le neonate aziende farmaceutiche) per confezionare perle alla Canapa e per incitare loro alla produzione e commercializzazione diretta di sigarette alla Cannabis. Nel suo gabinetto di inalazione, nel reparto riservato alle donne, testò personalmente gli effetti benefici delle sigarette di Cannabis, che confezionava speditamente egli stesso insieme al collega, il Dottor de Luca, e ad altri due inservienti. Ebbene, nonostante gli iniziali commenti negativi delle suore alla vista delle donne che fumavano quasi fosse un vizio, l’esperimento fu un successo e anche loro dovettero presto ricredersi. I miglioramenti furono evidenti soprattutto nei casi di isteria in cui le degenti fumavano come minimo quattro sigarette al giorno ed in questo modo non avevano crisi, l’unica cosa che chiedevano era di poter fumare. All’inizio della terapia dei pazienti, il medico cominciò somministrando solamente acqua distillata mista ad olio essenziale, poi aggiunse un poco di cannabina per volta (la resina), fino ad arrivare alle sigarette. Somministrò Cannabis anche ai bambini per curarne asma e problemi respiratori o cognitivi in generale e a donne affette da altri problemi nevralgici, sotto forma di sciroppo oppure di eleosaccaro (erba fresca mista a zucchero per evitarne la fermentazione), alle dosi di poche cucchiaiate al giorno.

Per ogni preparato indicò il perfetto dosaggio di principio attivo che dovesse contenere, un esempio: “qualora si dovessero comporre le perle di cannabina o ascisc, dovrebbero contenere 5cg di cannabina e una stilla di cannabeno e se ne prenderebbero da 3 a 6 al giorno“.

Vari disturbi furono curati nel Gabinetto di Inalazione, appositamente allestito per gli esperimenti sui quantitativi di Cannabis Sativa da utilizzare. In quello stanzino venivano fatti suffumigi alla porzione di una manata (circa 15 – 20g) per volta sopra un braciere, le pazienti si trattenevano per un quarto d’ora o mezz’ora e gli effetti massimi si ottenevano nelle asmatiche, o affette da enfisema o da catarri cronici. Pipe e sigarette furono altrettanto efficaci per questi trattamenti e se ne fumavano tre, quattro al giorno.

Cannabis Sativa paragonata alla Cannabis Indica.

Sperimentò dapprima su se stesso le due varietà di Canapa, sotto forma di infuso, arrivando alla conclusione che la loro azione risulta identica; le dosi, nel caso della C. Sativa, vanno però raddoppiate. Valieri specifica che “non si può fare tuttavia un paragone vero e proprio perché le conoscenze terapiche sulle dosi di C. Indica sono rimaste incomplete poiché si è guardato all’ascisc dal solo punto di vista del Kieff o fantasia che scatenava e che ogni scrittore, romanziere o patologo hanno tanto decantato. Spetta al terapista moderno la parola più solenne per assegnarle il giusto posto in terapia. Egli non deve guardare all’abuso della sostanza, bensì dovrebbe considerare che, tolto il vizio e conosciuta l’entità del farmaco, si può somministrare a dosi moderate e graduate, così riesce vantaggioso in molte malattie nervose come accade per i più possenti veleni: a dosi frazionate e ponderate si rivelano essere i più possenti rimedi, allora invece di un eccitante morbigeno, si otterrà un farmaco benefico”. Per la C. Indica e i suoi preparati, Fronmueller l’ha creduta succedanea all’oppio come ipnotica, quando questo era controindicato. Si è adoperata nelle psicopatie ed è risultata efficacissima nelle lipemanie, nelle melanconie e nelle depressioni eccitatorie (disturbo bipolare?). Nell’isterismo con disturbi psichici, con trisma e frenoglottismo giova l’ascisc che fu proposto anche per il Delirium Tremens, nel tetano, nell’idrofobia, nell’idropsia, nella corea e in molte convulsioni eclomisiche ed epilettoidi, nella tosse convulsiva, nei reumatismi. Valieri la sperimentò in altre iperestesie, ipercinesie e nervrosi periferiche. Sempre a dosi raddoppiate, usò la Canapa nostrana per curare il gozzo esoftalmico, l’enfisema polmonare e l’emicranea.

La trovò meravigliosa a dosi ponderate nelle anemie cerebrali, negli esaurimenti psichici (amnesie, incertezze ed incipienti idiozie), negli indebolimenti trofici e nelle circonvoluzioni che presiedono alle manifestazioni della vita animale. Efficace e tonica nel cervello esaurito e nelle cardiopatie causate da debolezza, affievolimenti trofici e disturbi funzionali. Ha visto in certe amnesie ritornare limpida e chiara la ricordanza, nelle incoerenze e incoordinazioni venir queste ordinate ed adeguatamente formulate con la parola e la parola stessa più facile e risoluta. Nell’inizio delle demenze, insieme ai colleghi, ottenne ricordanze e giudizi che sarebbe stato impossibile ottenere con altri metodi igienico-terapici.

Secondo il professore, non è necessario cominciare la terapia con forti dosi iniziali poiché l’ammalato non deve ricadere nel Kieff, nel viaggio che porta all’allentamento della realtà con conseguente esaurimento reattivo (stone – pietrificazione). Bisogna quindi dare pochi cg di cannabina per volta, da 5 a 10, ripetuti in cinque cartine ogni mezz’ora, combinate a thè o camomilla o 10 o 20 cg di cannabina per ogni 100g di acqua e ne va presa una cucchiaiata ogni mezz’ora a stomaco vuoto. Il terapista può aumentare progressivamente le dosi nelle seguenti prescrizioni che bisogna sospendere una volta ottenuto il giovamento, in questo modo quella nube che teneva avvolte ed offuscate le facoltà morali si dilegua senza scatti, senza sbalzi o perturbazioni disordinate ma placidamente e serenamente, evitando così reazioni pericolose.

Al pari della caffeina, della digitalina, che si amministrano solo quando si voglia confortare il cuore per rafforzarne i movimenti sistolici e si sospendono subito quando tale scopo è stato raggiunto, così si deve agire con la cannabina. Nel caso restino fenomeni eccitatori o se l’ammalato cade in soverchia prostrazione reattiva, il professore consiglia ai colleghi di offrire bibite calmanti e sedative, docce, esilaranti oppure di ricorrere all’elettrizzazione nei casi più estremi.

Già a fine Ottocento si sapeva moltissimo sugli effetti terapeutici della Cannabis, addirittura Valieri è stato in grado di descrivere le zone del cervello che venivano “irritate” dalla cannabina (la resina).

Va ricordato inoltre che la Cannabis Sativa italiana che utilizzò era destinata sì all’uso industriale ma non si trattava di una pianta geneticamente modificata che produce circa lo 0% di THC come le uniche che si trovano legalmente in commercio oggi. Il tipo di Canapa autoctona italiana, stando alle descrizione dell’emerito professore, conteneva all’incirca il 10% di THC, poco meno della metà rispetto alla Canapa indiana proveniente da Oriente.

*Venivano chiamati “Incurabili” non perché erano malati terminali o irriducibili tossicomani ma solo povera gente con malattie conseguenti alla loro miseria.

**A SUA SIGNORIA ILLUSTRISSIMA, IL CONTE FRANCESCO SPINELLI DI SCALEA,

SOPRINTENDENTE DELL’OSPEDALE DEGLI INCURABILI

…Come debito poi di personale gratitudine rivolgo a Lei i più sentiti rendimenti di grazie per la benevola accoglienza e per la celere attuazione che ha dato sempre alle mie proposte – e massime per gli esperimenti sulla Canapa Nostrana che van consegnati nella presente Casuistica – e per l’impianto del Gabinetto d’Inalazione – Il primo che sia sorto negli Ospedali di Napoli, pel quale i Diarii dell’epoca fecero a Lei meritato encomio … gli antichi offrivano a’ Benefattori della Patria e della Umanità un ramo di ulivo, di quercia o di alloro – ma gli Eroi di Ellade e di Ansonia se ne sono iti!… e quei vecchi simboli di benemerenza, a’ nostri si son resi troppo usuali. Ond’è che mi presento a Lei con un modesto ramoscello di Canapa Nostrana – che per me sta come espressione di gratitudine imperitura, per Lei starà come ricordo di una buona azione!

Raffaele Valieri,

Direttore della 3^ Sala – Donne

Fonte: Canapa agli Incurabili, “Sulla Canapa Nostrana e suoi preparati in sostituzione alla Cannabis Indica” di Raffaele Valieri] MARGINI [ STAMPA ALTERNATIVA ]

 

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