ll XXI si sta rivelando essere il secolo delle riscoperte, tra le quali si annovera il riconoscimento alla Cannabis del suo potere terapeutico.
Il Sistema Endocannaboide fu scoperto e così denominato dal Dr. Raphael Mechoulam al’Universita Ebrea di Gerusalemme. Gli anni trenta del ‘900 avevano messo la parola fine alla Canapa pensata come medicinale (e non solo) e, al suo posto, si facevano strada le scoperte all’avanguardia delle neonate aziende farmaceutiche: antibiotici e antinfiammatori. Da allora in poi, tutto il mondo occidentale ha fatto affidamento alle cure della medicina allopatica che, ad oggi, si può affermare abbia fallito l’intento di prolungare, preservare e migliorare la salute dell’umanità, dando invece false speranze sulla debellazione delle pesti moderne, l’HIV e il cancro, e incentivando la diffusione di pericolosi batteri antibiotico-resistenti.
Nonostante queste evidenze, la paura di abbandonare la medicina “tradizionale”, o quantomeno di provare cure “alternative”, permane tra medici e pazienti che, da scettici, pongono sempre la solita domanda sulla Cannabis terapeutica: “come può una sola pianta curare o attenuare più di 700 sintomatologie conosciute? E’ per caso miracolosa?”
La risposta, in realtà, è molto semplice: tutti i mammiferi, i vertebrati e non (insetti esclusi), possiedono il Sistema Endocannabinoide, il quale deve il suo nome proprio alla pianta di Cannabis. In anatomia, per “sistema” si intende un insieme di organi che collaborano ad uno scopo comune, i quali sono omogenei per struttura e funzione e che, spesso, hanno anche la solita derivazione embriologica. Nello specifico, quello endocannabinoide è un complesso sistema endogeno di comunicazione tra cellule. Esso è di grande importanza per il corretto svolgimento di molte attività fisiologiche e prende il suo nome dalla Cannabis dato che alcuni fitocannabinoidi in essa contenuti, tra cui il THC, imitano perfettamente gli effetti degli endocannabinoidi naturalmente prodotti dal nostro corpo, riuscendo in questo modo, a legarsi ai medesimi recettori.
Questo sistema è uno tra i più grandi presenti nel corpo umano, poiché è rilevante il numero degli organi e delle ghiandole di cui è diretto modulatore; potrebbe essere infatti paragonato ad un enorme centro smistamento messaggi, avente un curatissimo e vastissimo database. Esso è composto dai recettori cannabinoidi, CB1 e CB2, i loro ligandi endogeni e le proteine coinvolte nel metabolismo e nel trasporto dei cannabinoidi stessi. E’ importante chiarire che un recettore è una piccola molecola di origine proteica, posizionata sul- la membrana di varie cellule (dette “cellule bersaglio”); è addetto alla ricezione di specifiche sostanze – generalmente si tratta di messaggeri chimici quali ormoni, neurotrasmetti- tori o citochine – dette “ligandi” che, fondendosi con il recettore a loro specifico, ne causano una variazione conformazionale, in seguito alla quale si ha una determinata risposta o effetto biologico da parte della cellula: ad ogni recettore corrisponde un ligando come ad una serratura corrisponde una chiave specifica.
I recettori CB1 sono tra i più abbondanti e ampiamente distribuiti nell’encefalo, si trovano principalmente sui neuroni del Sistema Nervoso Centrale (SNC) e quindi nelle cellule del midollo spinale. La loro distribuzione è marcata nelle regioni responsabili della coordinazione motoria, dell’attenzione e delle emozioni. Sono anche presenti, seppur in minor quantità, su organi e tessuti periferici quali ghiandole endocrine e salivali, leucociti, milza, cuore, parte dell’apparato riproduttivo, urinario e gastrointestinale. Inoltre, influenzano sensibilmente anche i sistemi cardiovascolare e respiratorio, controllando il ritmo cardiaco, riducendo la pressione arteriosa e avendo capacità broncodilatatorie.
Contrariamente ai CB1, i recettori CB2 sono espressi principalmente a livello periferico: sono presenti su cellule immunocompetenti, tra cui globuli bianchi, milza, tonsille, midollo osseo ematopoietico (midollo osseo rosso, adibito alla produzione dei globuli rossi) e nel pancreas; a basse concentrazioni, si trovano anche nel SNC, in particolare su cellule gliali e microgliali. Il ruolo essenziale di tali recettori è quello di regolare il rilascio di altri messaggeri chimici a livello locale, dove sono richiesti, al momento del bisogno. I CB1, ad esempio, proteggono il cervello dalla sovra-stimolazione o dalla sovra-inibizione prodotta dai neurotrasmettitori, inibendo o rilasciando a loro volta neurotrasmettitori in grado di modulare gli effetti degli altri… in parole povere, evitano che il cervello si intossichi e si danneggi coi rifiuti (o gli eccessi) delle so- stanze che produce: queste preziose molecole lo aiutano a smaltirle in maniera corretta, attivandosi sola- mente quando sono necessarie per poi tornare silenti ma vigili.
I CB2 svolgono per lo più attività immunomodulatorie; questi dirigono il rilascio di citochine, molecole proteiche responsabili della risposta immunitaria ed infiammatoria. La loro funzione più importante è la regolazione dell’apoptosi, il cosiddetto suicidio cellulare programmato: quando una cellula non funziona più correttamente, e smette di svolgere il proprio lavoro, si auto elimina per non presentare un problema per le cellule circostanti, evitando la formazione di tumori sul nascere. Una volta chiarito il ruolo di questi recettori, è facilmente deducibile che un deficit del Sistema Endocannabinoide può avere conseguenze deleteree per l’organismo.
Difatti gli endocannabinoidi sono chiamati in causa in tutte le patologie dell’SNC che coinvolgono i mediatori chimici (neurotrasmettitori, citochine, ormoni, ecc.) la cui omeostasi (regolazione interna), perturbata dalla patologia, è proprio regolata dagli endocannabinoidi. Poiché la biosintesi dei cannabinoidi è sovente sotto il controllo degli stessi mediatori chimici, ciò spiega perché l’attivazione dei recettori CB1 o CB2, sovra espressi durante la patologia, si verifichi solo ‘sul luogo del delitto’ e per un periodo di tempo limitato, almeno nelle prime fasi della malattia. In pratica il cervello, essendo cosciente che c’è qualcosa che non va nel suo modo di comunicare e smalti- re i messaggi, “chiede aiuto” al Sistema Endocannabinoide, il quale riesce temporaneamente a svolgere correttamente le funzioni di comunicazione delle cellule malfunzionanti.
Questa funzione viene svolta anche al manifestarsi di malattie neuro-degenerative e neuro-infiammatorie, quali la Sclerosi Multipla, la malattia di Parkinson e quella di Alzheimer. Col degenerare della malattia, purtroppo, questo processo di automedicazione smette di funziona- re correttamente, poiché sono le cellule malfunzionanti stesse che dovrebbero essere in grado di chiedere aiuto ma, quando sono troppo danneggiate per continuare a farlo, è necessario un supporto terapeutico per far sì che il disturbo non peggiori e vada in remissione. Il THC e i preparati della Cannabis causano ben noti effetti sull’umore, sul ciclo sonno-veglia, sulla circolazione sangui- gna, sul sistema immunitario, riproduttivo e sul metabolismo. Su queste basi, sin dalla loro scoperta è stato ipotizzato che gli endocannabinoidi ed i fitocannabinoidi stessi presenti nella Cannabis fungano da mediatori per il recupero da stress (la stessa parola anandammide, che è il nome dato al principale ligando del recettore CB1, deriva dal sanscrito ananda, «beatitudine interiore») e per l’adattamento a nuove condizioni esterne, funzione finora dimostrata solo in animali di laboratorio. La Cannabis viene utilizzata negli USA dai veterani di guerra per trattare il disturbo da stress post traumatico.
Pertanto, il Sistema Endocannabinoide viene attivato per ripristinare la normale attività dell’asse ipotalamico-ipofisario-surrenale e consentire l’adattamento allo stress, contrastando quelle conseguenze che contribuiscono, nell’uomo, a far precipitare i sintomi di malattie mentali affettive, quali la depressione, i disturbi dell’umore, bipolarismo e schizofrenia, disturbi da stress postraumatico e i disturbi ossessivo-compulsivi, entrando in azione anche in aree cerebrali quali l’ippocampo, l’amigdala e la corteccia prefrontale, potenziando il rilascio di serotonina dal rafe dorsale.
Inoltre, l’anandamide (e anche il suo fitocannabinoide analogo, il THC), interagendo con il recettore CB1, possiede una complessiva capacità anabolica, infatti la sua attivazione facilita l’introito alimentare e riduce la spesa energe- tica, stimolando, quando il segnale acceso, l’accumulo di grasso buono. Lo stesso ruolo viene svolto dal THC che, legandosi al recettore CB1 al posto dell’anandamine, è causa diretta della famosa fame chimica. Si può quindi dedurre che, in condizioni ambientali di ristrettezze nutrizionali, quali quelle che milioni di anni fa affrontavano i nostri antenati, il sistema svolgesse un ruolo protettivo, contribuendo a stimolare i nostri avi alla ricerca di cibo e favorendo l’accumulo di risorse energetiche nei depositi corporei periferici.
A supporto del ruolo “ancestrale” nel comportamento alimentare, va sottolineato che gli endocannabinoidi sono presenti nel latte materno ed hanno un ruolo chiave nelle prime fasi della lattazione, le quali rappresentano momenti decisivi nella formazione del corretto apporto alimentare. Il Sistema Endocannabinoide e, in generale, la Cannabis (soprattutto sotto forma alimentare di semi e brattee resinose) si rivelarono decisivi per affrontare con successo ogni ostacolo si ponesse davanti alla sopravvivenza della specie umana, assicurandole un progressivo e adeguato benessere psico-fisico.
Nonostante questo meccanismo perfetto insito in noi si conoscesse da decenni fu preso in considerazione e studiato seriamente solo a partire dagli anni ‘90 a causa del proibizionismo scellerato sulla Cannabis. Ma i risultati delle ricerche dimostrano unanimemente che l’uomo e la Canapa sono da sempre fatti l’uno per l’altra: è soprattutto grazie a questa pianta se l’essere umano ha fatto progressi tecnologici nel corso dei secoli.
In cambio, essa ha ottenuto di essere portata in giro per il mondo, riuscendo, così, ad adattarsi ad ogni clima del pianeta Terra che, tra l’altro, corrisponde all’obiettivo evolutivo di tutte le piante da seme. Già 5000 anni fa la Cannabis veniva nominata nell’erbario dell’imperatore cinese Sheng Nung e consigliata per il trattamento di gotta, reumatismi, malaria, stipsi e debolezza mentale. Negli stessi anni, gli indiani incentrarono parte dei loro testi sacri sulla Cannabis, esaltandone le virtù terapeutiche in caso di dolori diffusi, tetano, nevrosi, parti difficili, asma e bronchiti e attribuendole proprietà meditative che coadiuvano l’espansione della coscienza. Oggi, in un mondo governato dal mero sape- re scientifico, l’uomo ha bisogno più che mai di ricongiungersi con la natura e col proprio io e, grazie alla scienza stessa, potrà finalmente contare nuovamente sull’aiuto di questa intelligentissima e versatile pianta, si spera, una volta per tutte, senza pregiudizi!
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